Un nuovo rapporto del Consiglio d’Europa esamina i progressi compiuti nei paesi europei per garantire il pieno riconoscimento giuridico dell’identità di genere in tutti i settori della vita. Il rapporto riconosce i passi avanti a livello legislativo, delle pratiche e degli atteggiamenti sociali, ma constata che i progressi sono ancora lenti e che occorrono misure supplementari, tra l’altro, per “depatologizzare” il processo del riconoscimento giuridico dell’identità di genere e garantire che non incida negativamente sui familiari delle persone interessate e che si tenga debitamente conto dell’interesse superiore dei bambini.
Si tratta del primo rapporto tematico sull’attuazione della Raccomandazione CM/Rec(2010)5 sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, incentrato sugli aspetti specifici del riconoscimento giuridico dell’identità di genere. Il rapporto, pur notando che l’atteggiamento di sostegno ai diritti delle persone LGBTI, compreso il concetto del riconoscimento giuridico dell’identità di genere, si sta fermamente radicando in Europa, rileva l’esistenza di notevoli differenze tra i paesi. 38 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno adottato procedure giuridiche o amministrative per garantire il riconoscimento giuridico dell’identità di genere, e nove dispongono di un sistema di autodeterminazione. Tuttavia, in un certo numero di paesi non esiste nessuna procedura precisa, e altri hanno annullato le misure di protezione esistenti, rendendo impossibile il riconoscimento giuridico dell’identità di genere. Per numerose persone transgender, intersessuali e non binarie, ciò significa che i loro documenti ufficiali non corrispondono alla loro identità di genere e che pertanto sono maggiormente vulnerabili alla discriminazione e alla violenza. Un altro serio problema è rappresentato dall’aumento della repressione nei confronti dei diritti umani delle persone transgender in alcuni paesi, accompagnato dalla carenza di informazioni da parte della popolazione sulla loro situazione.
Il rapporto contiene inoltre una serie di raccomandazioni generali. Una legislazione sulla parità di trattamento dovrebbe essere accompagnata da adeguate misure politiche per favorirne l’applicazione e da revisioni periodiche. Gli Stati membri che attualmente non prevedono una legislazione anti-discriminazione che tuteli specificamente l’identità di genere dovrebbero impegnarsi a introdurla. I motivi legati all’identità di genere o alle caratteristiche sessuali della vittima dovrebbero essere considerati come “circostanze aggravanti”.
Il rapporto è stato preparato da un gruppo di lavoro istituito dal Comitato direttivo del Consiglio d’Europa sull’anti- discriminazione, la diversità e l’inclusione (CDADI), con il supporto dell’Unità Orientamento sessuale e Identità di genere (SOGI). È previsto che il prossimo rapporto tematico, che sarà pubblicato nel 2023, si concentri sui crimini fomentati dall’odio nei confronti delle persone LGBTI.